Periodo Cistercense
Della comunità benedettina, che subentrò ai monaci greci, si hanno modeste informazioni se si eccettua la data del loro allontanamento. I motivi sono presumibilmente due: la malaria, che nel periodo del soggiorno uccise molti monaci e l’intenzione di papa Innocenzo II di assegnare il monastero ai Cistercensi. Negli Annali del papa è scritto che nel 1140, restaurato il gruppo di edifici, trovato in stato di abbandono e allontanati gli ultimi Cluniacensi rimasti, «lo assegnò per gratitudine a Bernardo e alla Congregazione Cistercense». La gratitudine cui si riferisce lo scritto è quella del papa verso l’operato di San Bernardo a suo favore, durante lo scisma di Anacleto II, che era stato invece difeso dai Cluniacensi.
Proprio in questo periodo, durante i lavori di ripristino degli edifici del monastero, San Bernardo ebbe la visione delle anime del Purgatorio che salivano al Cielo condotte dagli Angeli e che diede poi il nome di Santa Maria Scala Cœli alla chiesa che era lì e che venne ricostruita nel XVI secolo. I lavori di Innocenzo II interessarono la costruzione del monastero e della chiesa adiacente, quella dedicata a Sant’Anastasio – solo dopo il 1370, quando giunsero dal Portogallo alcune reliquie dello spagnolo Vincenzo di Saragozza, la chiesa prese il nome di entrambi i Santi. Ma questa fu consacrata solo nel 1221, perché all’opera del papa seguì molto probabilmente quella dei Cistercensi stessi, per adattare il complesso abbaziale alle loro necessità e al sobrio stile “bernardino”.
Il primo abate del monastero fu Pier Bernardo Paganelli, futuro papa col nome di Eugenio III che successivamente, conoscendo la vita dura in quella zona malarica, resa ancora più rigida dalla regola cistercense, permise ai monaci di vivere durante il periodo estivo nel castello di Nemi, da clima più sano.
Nel 1161 papa Alessandro III conferma il provvedimento e nel documento che ci è rimasto a testimonianza, per la prima volta, appaiono tutti insieme i nomi delle chiese delle Tre Fontane. È questo il periodo di maggior splendore per l’abbazia. I lavori al monastero vengono completati nel 1306, con la costruzione del chiostro e della sala capitolare. Sorgono cinque abbazie figlie: Santa Maria di Casanova vicino a Penne e Santa Maria di Arabona preso Manoppello entrambe in Abruzzo, Sant’Agostino a Montalto di Castro nella Maremma laziale, Santa Maria di Palazzolo sul lago di Albano a sud di Roma e Santa Maria nell’isola di Ponza di fronte al Golfo di Gaeta.
Nel XIV secolo scompare dal monastero la reliquia di Sant’Anastasio. Dal XV secolo comincia per l’abbazia una serie di periodi di crisi e di difficoltà sottoposti anche ai suoi possedimenti. Nel 1408 finalmente le reliquie trafugate vengono ritrovate nella sacrestia di Santa Maria in Trastevere e riportate alle Tre Fontane. Nello stesso anno papa Martino V trasformò l’abbazia in commenda, sopprimendo la figura dell’abate claustrale. La situazione rimarrà tale per molto tempo, salvo brevi periodi e il passaggio dei commendatari lascerà poche testimonianze rilevanti: la ricostruzione completa della chiesa di Santa Maria Scala Cœli (1592-1594), la ricostruzine della chiesa di San Paolo (1599-1601).
Tra il 1638 e il 1670 fu abate claustrale Ferdinando Ughelli, noto per la sua opera sulle diocesi italiane “Italia Sacra”.
Con l’arrivo delle truppe napoleoniche e l’occupazione dello Stato pontificio, le fondazioni religiose vennero soppresse e i monaci cistercensi nel 1808 furono costretti ad abbandonare le Tre Fontane. Il monastero fu privato di tutti i suoi averi, i reliquiari e i preziosi arredi, donati da papi e regnanti nel corso dei secoli. Gli archivi e i testi e codici della biblioteca vennero trasferiti presso la biblioteche Vaticana e Casanatese.
La sorte del monastero non cambiò neanche con la restaurazione del governo pontificio: i Cistercensi erano ormai lontani e quando nel 1826 papa Leone XII visitò l’abbazia, sgomento per lo stato di abbandono che apparve ai suoi occhi, con una Bolla impose ai Cistercensi di affidare le Tre Fontane ai Francescani Minori di San Sebastiano, con l’obbligo di riprendere il culto e ricostituire una comunità. Ma i frati francescani, di fronte a un tale stato di abbandono degli edifici e al clima malsano del luogo, si limitarono a riaprire il complesso abbaziale solo parzialmente e la sera veniva chiuso.
Nel 1855 papa Pio IX, insieme con il Procuratore Generale dei Trappisti, Francesco Regis, che era in visita a Roma, tentò di varare un progetto per il recupero di Tre Fontane, ma il costo previsto ne impedì l’attuazione. Una seconda opportunità si presentò nel 1867, in occasione del Giubileo straordinario per il diciottesimo centenario del martirio dei Santi Pietro e Paolo e soprattutto in seguito a una considerevole donazione da parte del conte di Maumigny.