Periodo Pre-Cistercense
È Benedetto del Soratte a riferirci nel Chronicon della prima comunità monastica sorta presso le Acque Salvie: il generale bizantino Narsete, governatore d’Italia (patricius Italiæ), in nome dell’imperatore Giustiniano, costruisce, nella seconda metà del VI secolo, un monastero annesso alla piccola chiesa dedicata a San Paolo – chiesa di cui abbiamo parlato nella pagina relativa al periodo paleocristiano.
Nel Chronicon ci si riferisce al monastero come il «monastero detto ad Aquas Salvias», dove si venerano le reliquie di Sant’Anastasio. I primi ad abitarlo furono monaci greci, arrivati a Roma quasi certamente dopo l’invasione della Cilicia da parte degli Arabi. Della loro presenza abbiamo testimonianza negli Atti del Sinodo Romano, convocato da papa Martino I nel 649: quando si dice che tra i vescovi intervenuti ci fosse anche «il venerabile abate Giorgio, del monastero di Cilicia che sorge alle Acque Salvie della nostra città».
Fu forse la presenza di monaci greci che spinse l’imperatore Eraclio a destinare loro la custodia delle reliquie di Sant’Anastasio, monaco persiano martirizzato per volere di Cosroe nel 624, e a inviarle alle Acque Salvie nella prima metà del VII secolo.
Già nel 650, infatti, il catalogo De locis sanctis Martyrum, che indica i luoghi di Roma che accolgono le tombe dei martiri, cita il monastero dell Acque Salvie come il posto «dove è conservato il capo di Sant’Anastasio e dove fu decapitato San Paolo».
Nel Miraculum Sancti Anastasii Martyris, documento risalente all’VIII secolo, è descritta una guarigione ad opera del Santo:«Fu condotta nella cappella della Santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria, dove il Santo e beato Paolo fu decollato, nel luogo chiamato Acque Salvie, dove riposano le venerabili reliquie del martire Anastasio. Poiché nel monastero è vietato l’ingresso alle donne, il vescovo entrò nell’altra chiesa che è presso il monastero, chiamata basilica di S. Giovanni precursore […] domandando all’abate di far portare le reliquie nella chiesa di S. Giovanni».
Questo testo è utile anche perché fornisce indicazioni sulla costituzione del luogo delle “Acque Salvie” tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo: è attestata la presenza di una chiesa dedicata alla Vergine, individuabile come la cappella sulla quale sorgerà Santa Maria Scala Cœli e di una chiesa dedicata a San Giovanni, di cui non rimane nessuna testimonianza. Inoltre non sono ancora menzionati il monastero né la chiesa di Sant’Anastasio. Solo a partire dall’VIII secolo si cominciano a trovare testi che accennino all’esistenza di un monastero ed una chiesa dedicata al martire Persiano. Nel Liber Pontificalis, ad esempio, riguardo la vita di papa Adriano I (772-795) è scritto:«…la basilica ed il monastero del beato martire di Cristo Anastasio […] furono per incuria dei monaci, nel silenzio della notte, distrutti dal fuoco…». Il Papa si interessò subito al restauro degli edifici danneggiati e non mancò di fornire tutti gli arredi necessari in sostituzione di quelli andati perduti.
Nel Liber Pontificalis sono riferite altre donazioni da parte dei Papi che si sono succeduti tra l’VIII e il XI secolo, a dimostrazione della grande importanza per la Chiesa delle Acque Salvie e del monastero di Sant’Anastasio. La più discussa delle quali resta certamente quella fatta da papa Leone III e Carlo Magno, in seguito alla concquista di Ansedonia, in Toscana; alcune carte di epoca tarda riportano che nell’805 Carlo Magno, dopo una serie di conquiste a danno dei Longobardi, pose l’assedio ad Ansedonia.
L’operazione si protraeva ormai da troppo tempo e si avvicinava il 22 gennaio, festa di Sant’Anastasio. Papa Leone III era sul campo, insieme con Carlo Magno, e venne ispirato da un sogno premonitore: fece inviare a Roma alcuni monaci a prendere le reliquie del Santo; quando queste arrivarono di fronte alla roccaforte nemica le sue mura crollarono come sconquassate da un terremoto. Per questo motivo, in segno di riconoscenza, il papa e l’imperatore con un atto firmato congiuntamente, destinarono al monastero di Tre Fontane i territori di Ansedonia, Orbetello, Monte Argentario, Marsigliana e l’isola del Giglio.
Il testo originale è andato perduto, ma rimangono molte trascrizioni e una testimonianza esplicita in una bolla del 1255. Anche se questi documenti non chiariscono definitivamente l’autenticità della donazione rimane il fatto che l’abbazia si è davvero avvalsa dei diritti feudali su queste proprietà tra il IX e il XIII secolo. Nei secoli successivi, prima attraverso una concessione in enfiteusi alla famiglia Aldobrandini di Soana, poi agli Orsini, i territori passarono di proprietà dell’abate di Sant’Anastasio alla municipalità di Siena. Tuttavia, nonostante l’assistenza e l’interesse da parte dei papi, il monastero non sembrò potersi sottrarre a un destino di lenta decadenza. Gregorio VII, verso 1080, tentò di risollevarne le sorti non solo confermando tutte le donazioni fatte, compresa quella di Ansedonia, e restaurando i fabbricati, ma fece venire, forse da Cluny, un gruppo di monaci benedettini, nel tentativo di ricostituire una comunità regolata. Da quel momento dei monaci armeni non si parlerà più, anche se qualche sporadica presenza verrà riscontrata fino al 1300.